Una "casa" per Primo Levi

Intervento di Fabio Levi, Presidente del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, alla celebrazione ufficiale del Giorno della Memoria 2021 da parte della Città di Torino. La celebrazione si è tenuta il 27 gennaio 2021 alle 11.30 presso la Sala Rossa del Palazzo Civico ed è stata trasmessa in diretta streaming sui canali multimediali della Città di Torino.

Signora Sindaca, Autorità, gentile pubblico sulla rete, questo 27 gennaio cade in un momento difficile, in un clima che dovremmo poter affrontare disponendoci ognuno al massimo di sensibilità e di concretezza. Per questo ho pensato di cominciare richiamando la vostra attenzione su un gesto semplice, molto concreto e ricco di significato, uno di quei piccoli gesti alla portata di chiunque.

Molti anni fa mi trovavo a studiare, presso l’Archivio storico di questo Comune, l’ampio coinvolgimento dell’amministrazione pubblica nell’attuazione pratica delle leggi contro gli ebrei emanate nel 1938 - ora quella diffusa partecipazione è un fatto acquisito, ma alla fine degli anni ’80 prevaleva una forte sottovalutazione e le ricerche erano solo agli inizi. Per portare alla luce quella verità si dovevano analizzare documenti innumerevoli ed era necessario ricostruire passo passo l’attività di uffici e singoli funzionari. Un giorno tuttavia l’archivista mi informò di un’insperata scoperta: in un deposito era stato rinvenuto per caso un grosso registro alfabetico con i dati di tutti gli ebrei residenti a Torino, compilato con una cura certosina e via via aggiornato negli anni, a partire dal censimento del 22 agosto 1938, vera e propria schedatura di tutti gli individui destinati a imminente persecuzione.

La scoperta era importante di per sé, perché confermava la sistematica applicazione da parte dell’apparato istituzionale della normativa sulla razza, così come andava via via emergendo dalle carte. Ma lo era anche per un’altra ragione. Quel registro era emerso da un nascondiglio, ricavato in una rientranza del muro coperta da un pesante armadio. Molto probabilmente qualche impiegato doveva averlo sottratto alla consultazione dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando le liste compilate nei cinque anni precedenti erano diventate d’un tratto liste di persone destinate alla morte.

Ecco il piccolo gesto di cui vi dicevo. Dopo cinque anni di progressiva emarginazione degli ebrei dalla vita civile, alla fine del ’43 la situazione generale era cambiata. La condizione dei perseguitati si era fatta molto più pericolosa, ma anche l’atteggiamento dei non ebrei stava mutando. Caduto il regime durato vent’anni e sostituito dal potere corrotto, crudele, e sottomesso ai nazisti della Repubblica Sociale, gli italiani erano costretti dai fatti a riprendere in mano il proprio destino sin lì sequestrato nelle mani del fascismo: in quel contesto, superata l’indifferenza verso le leggi sulla razza mostrata dalla gran parte della popolazione negli anni precedenti, in molti ricominciavano a considerare gli ebrei donne e uomini uguali agli altri e a offrire loro soccorso: come appunto nascondere un grosso volume pieno di nomi divenuto una grave minaccia.

A compiere quel gesto e a evitare che venisse scoperto furono persone in carne ed ossa. Più o meno consapevoli e coraggiose, accettarono il rischio di essere denunciate da altre che per ignavia, paura o convinzione erano rimaste fedeli all’autorità del momento. Ognuno, in quell’occasione come in mille altre nello stesso periodo, si guardò intorno e fece la propria scelta. Ed è ogni volta la consapevolezza delle alternative possibili e dei margini entro i quali si collocano le scelte dei singoli individui la vera posta in gioco di un’etica personale e civile. Per chi allora dovette decidere come comportarsi di fronte all’arbitrio di un potere illegittimo, ma anche per noi che, a partire da un episodio singolo, quasi infinitesimale, stiamo guardando alle tragedie più dolorose del secolo scorso con un occhio rivolto anche, inevitabilmente, alla realtà che stiamo vivendo.

Frammenti di memoria dunque e di storia. E allora ricordiamo ancora, fra le tante cose suggerite dalle carte d’archivio conservate nel nostro Comune, la vicenda di quella suora che nel ’38, perché figlia di due genitori ebrei, fu dichiarata ufficialmente ebrea, in spregio alle sue convinzioni e alla sua irrevocabile decisione di prendere il velo. A un primo sguardo un tale episodio sembra un’assurdità senza senso, ma l’incongruenza, anzi l’obbrobrio, non stava in questo caso nell’irragionevolezza di un singolo caso limite: stava viceversa nella regola generale per la quale il fascismo, mosso da pulsioni totalitarie, perseguitava non già chi aveva commesso atti che la sua legge definiva illeciti, ma chi solo per il suo essere ebreo andava considerato inferiore, era inferiore a insindacabile giudizio dello Stato.

Ancora una volta un fatto singolo ci ha permesso di cogliere il senso più generale di quanto accadde allora. Ma questo è stato possibile perché non ci siamo accontentati di fare ricorso alla sola memoria, facoltà meravigliosa della nostra mente certo, ma fragile, condizionata dalla soggettività e spesso fallace. Dei ricordi vanno verificati la precisa corrispondenza con la realtà, la congruenza con altri ricordi e altri fatti più o meno simili, e il rapporto con il contesto più ampio cui si riferiscono. Compiti questi che gli storici svolgono per mestiere, ma che - a pensarci un momento - sono, o dovrebbero essere, parte del nostro modo di ragionare quotidiano. Sono parte soprattutto del nostro modo di lavorare con i ragazzi per favorire la loro autonomia di giudizio, a maggior ragione in una giornata come quella di oggi.

E allora soffermiamoci un attimo proprio su questo. A volte, di fronte ai crimini del passato e del presente, siamo presi dall’ansia di voler sentire da loro, dai più giovani, una parola di condanna. E’ più che comprensibile. Ma una tale ansia ci induce troppo spesso ad anticipare il giudizio, quasi a metterglielo sulle labbra senza pensare che prima del giudizio deve venire la conoscenza della verità, frutto di un percorso che richiede tempo e convinta applicazione. Non valgono le scorciatoie, come proclamare a gran voce principi astratti o sollecitare la reazione emotiva dei nostri interlocutori. La conquista della verità è difficile e comporta fatica, ma è la strada maestra per far crescere la loro consapevolezza.


C’è dunque una relazione molto stretta fra i contenuti che sono oggetto qui della nostra attenzione e i modi per affrontarli. Oltre tutto serve a poco trasmettere le informazioni giuste senza una partecipazione attiva e consapevole, nostra e di chi ci sta di fronte. E’ questa la lezione che ci viene dal rapporto che sapevano instaurare i testimoni diretti oramai quasi tutti scomparsi, la cui assenza dobbiamo saper compensare riproponendo quanto ci hanno lasciato attraverso modi e strumenti che spetta a noi rendere efficaci. Dico questo per introdurre una sollecitazione precisa che spero possa suscitare interesse e disponibilità.

In queste settimane il Circolo dei lettori ha dedicato quasi un mese della memoria a Primo Levi, proponendo, insieme al Centro intitolato allo scrittore, un ricco calendario di iniziative. Lo ha fatto nell’intento di rimettere a fuoco il nostro sguardo sui temi che sono oggi all’ordine del giorno. L’obiettivo non era ovviamente di porre Primo Levi su un piedistallo: sarebbe stato una cosa contraria alla sua indole e, oltretutto, non se ne sente certo la necessità. La sua figura e la sua opera sono già ben radicate nella nostra cultura e continuano ad essere centrali nella riflessione sulla memoria da ben prima che il Giorno ad essa dedicato venisse istituito.

L’intento era un altro: valersi del suo punto di vista e delle sue parole per ridare un centro e, insieme, un’ampiezza di prospettiva alla riflessione sullo sterminio e sulle esperienze più dolorose del secolo scorso, intesi come occasione per ragionare con pacatezza - come recita la premessa a Se questo è un uomo - “su alcuni aspetti dell’animo umano”. Un tale approccio apre in molte direzioni: c’è la scrupolosa attenzione alla verità sul Lager e l'impegno a discernere come si possano conquistare pezzi di verità e quanto alto sia il suo valore; c’è la consapevolezza che il Lager è una minaccia destinata a durare ma non è la misura del mondo, che fortunatamente propone ricchezze straordinarie e non esclude fuggevoli brandelli di felicità; c’è la fiducia nella scienza, pur soggetta in particolari condizioni a perversioni malsane; c’è il rispetto per gli esseri umani e per i più giovani in particolare, verso cui il dialogo sembra essere la forma di relazione più efficace; c’è la meraviglia per la natura e per le sue leggi, straordinario oggetto di scoperta, senza che tuttavia della materia possa trascurarsi la possente malignità.

Ogni anno ci interroghiamo su quale sia il modo migliore di celebrare il Giorno della memoria. Non ci soddisfa infatti il mero richiamo al passato confinato in se stesso. Azzardiamo allora paralleli fra la Shoah e il mondo di oggi, con il rischio a volte di arenarci in discussioni non sempre felici se sia o meno possibile confrontare l’enormità dello sterminio con le violenze pur molto dolorose che vediamo inflitte vicino a noi. Oppure speriamo che l’affermazione stentorea dei valori “giusti” possa colmare d’un balzo quella distanza e garantire contro la sordità e l’indifferenza. Quando invece l’idea che Levi ci propone è tutta un’altra. Per lui Auschwitz è un luogo concreto, precisamente situato nello spazio e nel tempo, ma insieme una nube tossica che si alza nel cielo, composta di veleni pronti a contagiare altri luoghi, non meno concreti, del futuro in cui siamo immersi e di quello che verrà. Basta leggere, oltre a Se questo è un uomo, i suoi racconti di fantascienza che prefigurano realtà distopiche e inquietanti. C’è poi un altro suo tratto distintivo molto importante: i suoi testi - mi riferisco qui in primo luogo a I sommersi e i salvati - sono stati concepiti in modo tale da non offrire verità astratte, univoche e certe, ma da sollecitare interrogativi morali sempre radicati in situazioni determinate, e tali da suscitare tante risposte possibili che tocca a noi in prima istanza saper scoprire.

Ecco perché dare rilievo all’opera di Levi, senza attribuirle naturalmente alcuna esclusiva e sentendoci liberi di attraversare una letteratura ricchissima e piena di sollecitazioni diverse. Consapevoli però che alla città dello scrittore spetta una responsabilità particolare. Torino è il posto dove sono nate molte cose importanti. Spesso ci lamentiamo, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, che altri siano lì pronti a portarcele via, come troppe volte sarebbe accaduto. Levi è fra le ricchezze che meno facilmente potranno essere sradicate dalla città, perché quella città è stata per lui non solo luogo di origine e di vita, ma luogo di elezione. Ce lo ripete tante volte nella sua opera, con convinzione, con orgoglio e con affetto. Difficile dunque che possa emigrare altrove, anche se la sua opera di testimonianza, di scrittura e di pensiero è oramai tradotta e diffusa in tutto il mondo. C’è da chiedersi allora che cosa Torino possa fare per dare il valore che merita a uno dei suoi figli migliori. Ha già fatto molto, creando un Centro di ricerca, di formazione e di promozione culturale a lui intitolato oramai di livello internazionale. Ma a mio avviso quell’attività potrebbe utilmente radicarsi in un luogo fisico e pienamente accessibile, perché per primi i torinesi - di età, ceti e culture diverse - possano avvicinarsi alla sua opera con facilità, possano apprezzarla e farsi accompagnare dalle sue parole. E lo stesso dovrebbe essere possibile per chi viene da fuori, dall’Italia e da tanti altri paesi: per loro potrebbe essere importante sapere che il Primo Levi di cui hanno sentito parlare o hanno letto qualcosa era proprio di Torino e lì è dato incontrarlo e conoscerlo meglio. Sarebbero in molti, credo, ad apprezzare un progetto del genere, e non solo nel Giorno della memoria.


Commenti

Silvana Calvo 15/02/2021 - 13:10
Il tuo commento

Un discorso toccante, essenziale e molto toccante, privo - grazie al cielo - di quella retorica che troppo spesso dobbiamo sopportare il 27 gennaio. Fortissimo il passaggio dove dice: " i suoi testi - mi riferisco qui in primo luogo a I sommersi e i salvati - sono stati concepiti in modo tale da non offrire verità astratte, univoche e certe, ma da sollecitare interrogativi morali sempre radicati in situazioni determinate, e tali da suscitare tante risposte possibili che tocca a noi in prima istanza saper scoprire."

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