I sommersi e i salvati

I sommersi e i salvati, Einaudi, Gli struzzi, 1986
Autore
Primo Levi
Editore
Einaudi
Anno di pubblicazione
1986

Con I sommersi e i salvati Primo Levi porta a compimento, quarant’anni dopo Se questo è un uomo, la testimonianza e le riflessioni che animarono quel suo primo libro. Il volume, la cui stesura ha richiesto dieci anni, esce da Einaudi nella primavera del 1986; verrà rapidamente tradotto in tutto il mondo e riconosciuto come un’altissima opera sulla natura del male e sulla natura dell’uomo. 

Nelle sue pagine convergono le molte inquietudini che impegnarono la mente di Levi nell’ultimo periodo della sua vita: lo sbiadirsi della memoria di Auschwitz, che pare coincidere con la cancellazione della propria identità; la mancanza di cognizioni e di memoria storica nei giovani studenti incontrati nelle scuole, i quali accolgono la sua testimonianza con scetticismo semplificatore, come una vicenda appartenente a tempi remoti; l’avvento degli storici negazionisti e revisionisti, che mettono in dubbio l’esistenza o le specificità dello sterminio ebraico e dei Lager; infine, l’insofferenza per la retorica che irrigidisce nei rispettivi ruoli le figure delle vittime e dei carnefici.

I sommersi e i salvati è diviso in otto capitoli, più una Prefazione e una Conclusione. Il primo capitolo è dedicato alla Memoria dell’offesa, e alle sue distorsioni e lacune. Ma il fulcro del libro è costituito dai capitoli II e III, intitolati rispettivamente La zona grigia e La vergogna. Argomenta Levi che lo spazio tra la categoria delle vittime e degli aguzzini non è vuoto, bensì «costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo) che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana». È un tema ingrato, questo delle forme di collusione o di acquiescenza tra vittime e oppressori: i Kapos, i Prominenten, e tutte le altre grottesche figure del privilegio nel Lager e nei ghetti ebraici, ma anche i rari gesti di spaventata pietà da parte della popolazione civile tedesca. Levi indaga e descrive lasciando in sospeso il giudizio, ma scavando col suo bisturi verbale dentro la carne viva dei fatti. La sua indagine porta alla luce un sentimento paradossale: la «vergogna del sopravvivente», il senso di colpa del «salvato», il quale è portato a credere di essere rimasto vivo al posto di un altro, più debole, più sfortunato e più onesto di lui, al quale egli ha dunque sottratto qualcosa.

«"È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire". In otto, densi capitoli Primo Levi torna sull'esperienza dei Lager nazisti per leggerla non come un fatto conchiuso, un evento imprevedibile e circoscritto, insomma un incidente della Storia, ma come una vicenda esemplare attraverso cui è possibile capire fin dove può giungere l'uomo nel ruolo del carnefice e in quello della vittima.
Le domande cui Levi risponde con l'equilibrio e la lucida fermezza che siamo soliti riconoscere ai classici, investono frontalmente il nostro oggi e si propongono alle nuove generazioni, per le quali la parabola nazista si va fecendo sempre più lontana e più sfumata. Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario, e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo? Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi? Chi sono gli esseri che abitano la "zona grigia" della colloborazione? Come si costruisce un mostro? Era possibile capire dall'interno la logica della macchina dello sterminio? Era possibile ribellarsi ad essa? E ancora: come funziona la memoria di un'esperienza estrema? Che cosa sapevano, o volevano sapere, i tedeschi?
Levi non si limita a chiarire gli aspetti del fenomeno Lager che fino ad oggi restavano oscuri. Il suo è anche un libro "militante" che si batte contro ogni falsificazione e negazione della realtà, contro l'inquinamento del senso etico e l'assuefazione a quella degradazione dell'umano che riempie le cronache di questi decenni. I sommersi e i salvatirappresenta un contributo importante alla fondazione di una nuova, vigile coscienza critica».

Quarta di copertina della prima edizione Einaudi 1986, collana «Gli struzzi».

I sommersi e i salvati è tramato di questi concetti spinosi e cupi, ai quali si può aggiungere la nozione di «violenza inutile» cui è dedicato il quinto capitolo. È un libro stilisticamente compatto come una sfera e perfettamente controllato nel tono, eppure è visibilmente perturbato dalla situazione psicologica e cognitiva alla quale deve la sua forma: è il libro di un antropologo che include se stesso nel campo dell’indagine; è il libro di una persona che vorrebbe dialogare con gli indifferenti, i tiepidi, gli ex carnefici, ma ne prova insieme timore e ribrezzo (si veda il capitolo conclusivo, Lettere di tedeschi); è il libro di una persona che si sforza di ragionare, per comprenderli, con la mente dei propri aguzzini, e questo mostruoso gioco di ruolo gli procura una sofferenza insopportabile. I sommersi e i salvati deve la sua grandezza a questo, all’essere un esercizio disumano di obiettività, un viaggio tra i morti che si trasforma in un viaggio nella propria morte.