Presentazione di "Esperimento Auschwitz"

In occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino, il 12 maggio 2011 è stato presentato Esperimento Auschwitz, il volume di Massimo Bucciantini tratto dalla seconda Lezione Primo Levi e pubblicato da Einaudi in edizione bilingue italiano/inglese.

Di seguito proponiamo il testo dell'incontro:

Domenico Scarpa:

Buongiorno, grazie a tutti per essere qui. Grazie soprattutto – lo dico ora come lo dissi l'anno scorso – agli studenti: oggi dovremmo avere in sala studenti del liceo Massimo d'Azeglio, che fu il nostro partner, per così dire, nella prima lezione Primo Levi, quella tenuta da Robert Gordon, e studenti di classi del Galfer che sono stati il nostro partner nella seconda lezione, quella appunto tenuta da Massimo Bucciantini lo scorso novembre. Ci ritorneremo, perché questa compresenza fra studenti tecnici e studenti classici è molto significativa rispetto alla personalità di Primo Levi.
La prima domanda – sembra che io debba interrogare Massimo Bucciantini, ma in realtà è lui ad aver interrogato molto bene i testi di Primo Levi. E li ha interrogati a partire da una condizione paradossale che ogni studioso dovrebbe procurare dentro di sé: una sorta di nuova ignoranza, di rinnovata ignoranza rispetto a quello che si legge, che si ascolta, che si vede. Quando il dodici novembre scorso Massimo si presentò a parlare con gli studenti del Galfer esordì dicendo: “Ho cercato di leggere Primo Levi come se non l'avessi mai letto”, e credo che questo abbia determinato il successo della sua lezione Primo Levi, perché è riuscito a produrre questo effetto di nuova ignoranza – che poi è freschezza interpretativa – anche in noi. Anche noi, grazie alla lezione di Massimo, siamo arrivati a rileggere e a leggere Primo Levi come per la prima volta.
Massimo, qual è la cosa più importante, o la prima cosa, che si vede leggendo Levi per la prima volta, o come per la prima volta?


Massimo Bucciantini:

Beh, tu inizi subito con una domanda facile!


Domenico Scarpa:

Sì, una domandina così, froufrou!


Massimo Bucciantini:

La prima cosa che volevo fare era soprattutto di non imbalsamare Levi, perché Levi, come altri autori italiani, oggi è imbalsamato. Che voglio dire con questo? Voglio dire che io non sapevo bene dove andavo a finire, anzi i primi mesi sono stati tremendi perché non riuscivo a trovare nessun filo che avesse, come dire, un suo senso. Però ero sicuro di una cosa: ero sicuro che Levi andava letto tagliando fuori tantissima – non tutta, naturalmente – letteratura secondaria, che molte volte è tautologica, è una letteratura che si ripete, che gioca su alcune parole chiave – testimone, scrittore chimico, zona grigia, ecc. Un po' – e lo dico nelle due paginette iniziali di questo libro – un po' quello che è successo per Calvino: le parole chiave sono diverse però il destino dei nostri due più grandi autori del Novecento, o almeno due dei più grandi, è quello di non saperli più leggere. Naturalmente questo non significa che io ci sia riuscito, non sta certo a me dire se in qualche modo sono riuscito a entrare e a rompere questo blocco unico di un Levi che è sempre uguale dal '47 al '86. Ecco, una delle finalità che mi sono posto – per rispondere alla domanda di Domenico Scarpa – è appunto quella di pesare e distinguere – e non a caso uso due parole molto care a Levi –, le sue stesse pagine. Cioè utilizzare un metodo profondamente leviano per leggere Primo Levi, togliendo tutti gli schermi che molto spesso sono legati a una storiografia ripetitiva, quella che io chiamo “storiografia delle parole vuote”. Insomma, una storiografia suggestiva, certo. Ma la suggestione forse non basta, soprattutto per un autore così difficile e importante, non solo nel '47 ma anche nell'86 e nel '75. E le tre date sono relative a tre grandi opere: Se questo è un uomoI sommersi e i salvati e, nel mezzo, trait d'union tra Se questo è un uomo e I sommersi e i salvatiIl sistema periodico.


Domenico Scarpa:

Ecco, il primo schermo che mi sembra tu abbia tolto dall'opera di Primo Levi, o fra te e Levi, è stato lo schermo dello specialismo; anche il tuo proprio specialismo. Dico questo perché fino a non molti anni fa Massimo Bucciantini era uno storico della scienza noto per essersi occupato molto di Galileo: uno specialista, anzi, di Galileo, uno dei massimi. Galileo è stato anche un grande scrittore nella storia della letteratura italiana, ma non viene ricordato subito o innanzitutto per questo. In questi ultimi cinque anni Massimo Bucciantini, pur continuando a occuparsi di Galileo, di Keplero e di altre cose circonvicine, si è accostato decisamente alla letteratura italiana contemporanea, che aveva sempre coltivata, con due libri. Uno è Italo Calvino e la scienza. Gli alfabeti del mondo, uscito da Donzelli nel 2007, e adesso esce questo Esperimento Auschwitz, che ci parla di Primo Levi.
In entrambi i casi Bucciantini si è accostato alla letteratura rinunciando, tagliando via, togliendo lo schermo del proprio specialismo. Che cosa intendo dire? Intendo dire che la prima cosa che Bucciantini ci dice nel suo libro su Calvino è: Calvino non è uno scienziato. Anzi, non è nemmeno uno scrittore che metta continuamente in rapporto reciproco la letteratura e la scienza. A Calvino interessa solo e soltanto la letteratura. Questa è la tesi di Bucciantini, che con Levi ha fatto un'operazione, se vogliamo, meno appariscente ma ancora più paradossale: perché sarebbe stato naturale che uno storico della scienza si avvicinasse, nella sua lettura di Primo Levi, a quelle opere dove è più evidente la presenza della scienza, delle invenzioni scientifiche; sarebbe stato più ovvio che si accostasse ai racconti di Storie naturali o di Vizio di forma – e che magari leggesse innanzitutto Il sistema periodico. Invece, le due colonne dello studio che presentiamo stamattina sono Se questo è un uomo e, all'altro capo dell'opera di Levi, a quarant'anni di distanza, I sommersi e i salvati. Questo significa andare a cercare uno sguardo, un procedimento, una mentalità scientifica là dove apparentemente, a prima vista, non ci sono. Com'è andata? È andata così?


Massimo Bucciantini:

Sì, in parte sì. I primi mesi sono stati veramente duri, e allora avevo due possibilità: o fare il verso a chi aveva già scritto su Levi oppure provare a ‘stare’, in maniera testarda, su alcune sue pagine che considero cruciali. E quando dico cruciali mi riferisco, per esempio, al capitolo I sommersi e i salvati di Se questo è un uomo. Stare su quelle pagine e non girarle vuol dire incaponirsi a tal punto da dire che qui deve uscir fuori qualcosa. Qualcosa che io non riuscivo a vedere in Levi e che allora ho provato a trovare fuori di Levi.
Che voglio dire con questo? Voglio dire che se non riusciamo a dare un senso ad alcune pagine se non ripetendo continuamente Levi con Levi, allora dobbiamo imboccare altre strade: una di queste è cercare di vedere se quelle parole, se quelle pagine sono state lette e da chi.
“Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di persone...” queste parole tutti le conosciamo. “Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura...”
Ecco, con mia grande sorpresa, ho trovato quelle stesse frasi riprese da uno dei nostri maggiori scienziati eretici degli anni Sessanta e Settanta, e cioè Franco Basaglia. Il libro è cominciato a nascere da lì. Il libro non è nato tutto insieme: la prima parte di Esperimento Auschwitz è la parte centrale, e si fonda sullo stretto legame che ho trovato tra Levi e Basaglia. E a muovermi in questa direzione mi è stato di aiuto la lettura di uno dei saggi più belli che sono stati scritti su Primo Levi: Ciò che dobbiamo a Primo Levi di Pier Vincenzo Mengaldo. Mengaldo ha scritto poche cose su Levi, ma tutte capitali. In questo saggio scritto nei primi anni Novanta Mengaldo dice a chiare lettere che i letterati non hanno capito Primo Levi. C'è un contrasto di fondo – dice – tra il pubblico che ha amato e ama Primo, e i critici letterari, che non l'hanno compreso, perché troppo diverso da loro. “Pochi scrittori del nostro tempo – dice – Mengaldo  sono letti altrettanto e con altrettanto consenso – non solo in Italia – di Levi, uno dei rarissimi oggi che i lettori non ammirano soltanto, ma amano. Di fronte a questo successo di pubblico, sta la relativa indifferenza della critica, che non l'ha affatto collocato al posto che merita”. E poi, subito dopo, fa il nome di un critico e di un libro: Il piacere della letteratura di Angelo Guglielmi, un’antologia uscita da Feltrinelli sul finire degli anni Settanta. “Libro particolarmente sciagurato” lo definisce Mengaldo. Un'antologia ragionata degli scrittori italiani, dei maggiori, dove non c'è una riga di o su Primo Levi, e dove invece ci sono dei prosatori che Mengaldo giudica del tutto irrilevanti. Che voglio dire con questo? Voglio dire che ho trovato in Mengaldo consolazione e solidarietà, nel senso che mi ha aiutato a proseguire nella mia strada fuori delle acque territoriali della cosiddetta critica letteraria.


Domenico Scarpa:

È interessante e strano il rapporto che oramai noi del Centro Studi Primo Levi abbiamo con queste lezioni, perché naturalmente le commissioniamo, quindi parliamo con una persona alla quale proponiamo di tenere questa lezione di lì a sette, otto mesi. Si cerca di anticipare molto i tempi, di dare un anno di tempo (o poco meno) a chi la dovrà fare. E arrivavano ogni tanto queste telefonate abbastanza allarmate di Massimo, che era preoccupatissimo e lo diceva; diceva “Non ho niente, non ho ancora niente, non so, brancolo nel buio!”.
Noi non ci preoccupavamo affatto perché eravamo tranquilli sulla scelta.


Massimo Bucciantini:

Perché eravate incoscienti!


Domenico Scarpa:

No, non siamo incoscienti. Uno sa dove ci sono delle potenzialità di scavo, perché non è che Massimo Bucciantini ha trovato soltanto Basaglia. Quella scoperta è stata un capo, un filo: un punto a partire dal quale tutta una massa ha preso una sorta di centro di gravità, e intorno alla quale ha ruotato un pensiero.
Esperimento Auschwitz è un libro che ha un'appendice di documenti, spesso documenti inediti, quindi non si basa soltanto su una lettura diretta dei testi di Primo Levi. Essere ignoranti, voler essere ignoranti, volere essere dei veri ricercatori significa anche andarsi a cercare le cose una per una, senza sapere se e dove stanno, ma con quella qualità di attenzione che rende probabile trovarle quando ci sono. Massimo Bucciantini, in questa appendice del libro che è importante quanto il libro stesso, mette insieme una serie di documenti che ha ritrovato negli archivi più diversi: e spesso sono documenti epistolari che attestano il dialogo di Primo Levi, per di più in tempi precoci – siamo fra il 1947 (prima edizione di Se questo è un uomo) e la prima metà degli anni Cinquanta, 1954 –, con scrittori, intellettuali, pensatori del calibro di Arrigo Cajumi, di Umberto Saba, di Piero Calamandrei. È una trama di rapporti che si va allargando, che si va estendendo, fino ad arrivare a quel 1967 in cui, con la bellissima definizione che ne ha dato Massimo, uno “scienziato eretico” come Franco Basaglia – scienziato eretico allo stesso e diverso titolo con cui lo era stato tre secoli prima Galileo Galilei – un uomo, Franco Basaglia, insieme con sua moglie Franca Ongaro Basaglia prende in mano la prima edizione 1947 di Se questo è un uomo e ne trae il suo esperimento mentale.
Ma parliamo di quell'altra persona, del poeta che aveva letto Se questo è un uomo già nel 1948, parliamo di Umberto Saba. C'è stata una connivenza tra due scrittori che si direbbero molto lontani l'uno dall'altro per motivi generazionali: Saba 1883, Levi 1919; lontani anche per coordinate geografiche: Trieste Saba, Levi Torino. E nel loro dialogo scopriamo un legame tra due libri che sono altrettanti chiodi conficcati nel Novecento, cioè Scorciatoie e raccontini che è del 1946 ed è stato ristampato due giorni fa da Einaudi con una prefazione di Silvio Perrella, e Se questo è un uomo nella sua prima edizione pubblicata da De Silva.
Umberto Saba legge Se questo è un uomo e dice immediatamente, nel 1948, che sarebbe un testo da distribuire nelle scuole. Quindi da distribuire qui, a voi che siete in questa sala. Massimo ha ricostruito questa storia.


Massimo Bucciantini:

Saba e Basaglia. Basaglia nasce nel '24, studia a Padova, si laurea a Padova, ma gli viene subito detto che non c'è posto per lui nell'università. Insomma, la prima cosa che gli viene detta nel 1959/60 è “Devi trovarti un altro lavoro!”. E a lui non restava altra strada che vincere un concorso per la direzione di un ospedale psichiatrico, ben sapendo che tra i malati di mente degli ospedali e quelli delle cliniche universitarie c'era una differenza abissale, per classe sociale, per tipo di malattie, e anche per tipo di ricerca che veniva sviluppata. A Basaglia succede un po’ quello che succede a Levi: come Levi si è a lungo sentito ai margini della cultura letteraria italiana, così Basaglia è stato messo ai margini della cultura psichiatrica italiana.
Così nel 1961 Basaglia lascia definitivamente l’università e se ne va a Gorizia. Del suo incontro con l’Ospedale psichiatrico di Gorizia ci è rimasta una lettera (che di recente è stata pubblicata da Valeria Babini in un bel libro, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia) e di cui vorrei leggervi un passo:

“Qui è notte fonda, su un'isola popolata di fantasmi, barricata su se stessa, lontana dalla memoria degli uomini”.

Sembra di leggere Cuore di tenebra. Perché anche questa è una discesa agli inferi. Per Basaglia Gorizia rappresenta un luogo inospitale e fuori dal mondo dei vivi; ed è in quel luogo che comprende che i cosiddetti malati di mente sono tali perché c’è un’istituzione che toglie loro dignità umana. Quindi, il nesso Levi-Basaglia è un nesso importante, così come è importante – e Domenico lo ha sottolineato benissimo – il nesso Levi-Saba. E non solo perché Saba capisce subito che siamo di fronte a uno scrittore, e non a un semplice testimone. Nella lettera a Levi del 3 novembre 1948 che pubblico integralmente nell’Appendice, a un certo punto Saba scrive:

“Adesso è come se avessi fatto personalmente l'esperienza di Auschwitz”.

E tutto sta in quell'avverbio, “personalmente”. Saba ha letto Primo Levi e ha sperimentato su se stesso proprio quell'esperimento che Levi aveva descritto in Se questo è un uomo. Ma tra Saba e Levi ci sono altri punti di congiunzione. Uno di questi è il giudizio sulla filosofia del tempo. Domenico ha citato Scorciatoie e raccontini. Andiamo allora a rileggerci la “scorciatoia” numero 19:

“Non ho nulla da dire ai filosofi; né essi hanno nulla da dire a me. Come li avvicino diventano fluidi; si dilatano all’universale per non essere toccati in un solo punto nevralgico. Tutti i loro sistemi sono ‘toppe’, per nascondere una ‘rottura di realtà’. I poeti promettono di meno e mantengono di più”.

Siamo nel ’48. La filosofia che ha di fronte Saba è la stessa che ha di fronte Primo Levi: è la filosofia idealista e spiritualista, quella stessa che Levi è costretto a digerire al liceo ma che non sopporta.

“Si dilatano” - questi filosofi - “all'universale” - bellissimo! - “per non essere toccati in un solo punto nevralgico”.

Sono dei fantasmi, le loro idee stanno a mezz'aria, non hanno nessun tipo di concretezza. Ecco, se adesso passiamo a Levi e leggiamo Idrogeno, non ci vuole molto a capire che respiriamo la stessa aria:

“Ero sazio di libri, che pure continuavo a ingoiare con voracità indiscreta […] A scuola mi somministravano tonnellate di nozioni che digerivo, ma che non mi riscaldavano le vene. Era snervante, nauseante, ascoltare discorsi sul problema dell’essere e del conoscere, quando tutto intorno a noi era mistero che premeva per svelarsi”.

Stessa posizione, stesso humus culturale. Anomalo? Certamente anomalo. Quelli che leggono e comprendono che Levi è uno scrittore sono in gran parte intellettuali impegnati nella costruzione di una nuova Italia, uomini politici e giuristi come Piero Calamandrei, Carlo e Alessandro Galante Garrone, Aldo Garosci, oppure scrittori, pochi, come Saba e Calvino. Ecco, Calvino è uno dei pochi appunto che comprende che Se questo è un uomo è un bellissimo libro. E nel '48 scrivere che Se questo è un uomo è un bellissimo libro non era affatto scontato.


Domenico Scarpa:

Sentite – lo dico ai ragazzi – sentite queste due definizioni:

eccezionale condizione umana

gigantesca esperienza biologica e sociale

Queste due definizioni le trovate nel capitolo I sommersi e i salvati di Se questo è un uomo, cioè nel capitolo che già nel '47 si intitola così come si intitolerà l'ultimo saggio, l'ultimo libro di Primo Levi. “Eccezionale, gigantesca esperienza”. Esperienza è un francesismo che usa Levi, e sta per esperimento. Nel suo vocabolario personale, esperienza significa concretezza, cognizione, significa qualcosa che si tocca, che ha tre dimensioni appunto, una cosa che non è fluida e non è filosofica, una cosa che si vive!
Ricordatevi di quello che Massimo vi ha raccontato di Basaglia qualche attimo fa: quella lettera straordinaria del ’61, da Gorizia. Sono parole, queste di Levi, che potrebbero trovare posto pari pari dentro quella lettera; e hanno una torsione scientifica importante perché qui l'eccezione, l’aggettivo “gigantesca”, allude alla moltiplicazione dei numeri. Tanta gente ammassata in un posto dove non si può vivere. Allora, la moltiplicazione del numero, l'ingrandimento della quantità, che cosa può dirci sulla qualità dell'esperienza, che cosa ci dice sulla qualità della vita, che cosa ci porta a concludere sui risultati di un esperimento invivibile come l’esperimento Auschwitz?


Massimo Bucciantini:

Ci porta a concludere, per esempio, che tra Se questo è un uomo I sommersi e i salvati c'è sì un camminamento profondo, ma anche una discontinuità. All'inizio vi ho detto che non bisogna imbalsamare Levi. Per non imbalsamarlo bisogna anche vedere se ci sono dei tratti di discontinuità nel suo lavoro (un punto, questo, che Alberto Cavaglion ha ben sottolineato nei suoi scritti su Levi). Prendiamo uno dei concetti cruciali, in senso sia sociologico sia morale, di Levi: la zona grigia. E proviamo a rintracciare la genesi di questo concetto che trova la sua definizione più rigorosa nei Sommersi e i salvati. Premetto che è un lavoro ancora in gran parte da fare, anche se ci sono già tracce importanti che merita seguire e mettere in evidenza. Una di queste la troviamo nell’autobiografia di Bianca Guidetti Serra pubblicata alcuni anni fa da Einaudi. Se sfogliamo Bianca la rossa, ci imbattiamo in un capitolo dedicato al suo amico Primo, e vi troviamo un’indicazione preziosa, e cioè che una delle prime persone a leggere il dattiloscritto di quello che diventerà il secondo capitolo dei Sommersi e i salvati, quello appunto intitolato “La zona grigia”, è stata proprio lei. E quando lo ebbe? Il 19 marzo 1980. Allora: I sommersi e i salvati esce nel 1986; nel 1980, il 19 marzo, Primo invia a Bianca il dattiloscritto di quello che allora pensava doveva essere il primo capitolo di un nuovo libro. Da quanti anni Levi sta riflettendo su quello che è uno dei capisaldi della sua filosofia morale? uno dei punti cardine per conoscere la specie umana? Sarebbe importante sapere se la versione passata a Bianca Guidetti Serra è quella definitiva. Così come sarebbe importante riuscire a capire, attraverso la sua documentazione privata, a quando risale l’origine del concetto di zona grigia. Dai primi anni Settanta, oppure ancora prima? Da quando iniziò a leggere Uomini ad Auschwitz di Hermann Langbein (1972), un libro che inserirà nella Ricerca delle radici e di cui dirà “Ah, mi piacerebbe averlo scritto a me”?
Insomma, Levi ci riserverà tantissime sorprese. E credo che la cosa migliore sia proprio una lettura analitica, pagina per pagina, parola per parola. Per questo sono convinto che uno degli strumenti fondamentali che il Centro dovrebbe mettere in cantiere sia la realizzazione di un lessico leviano: un lessico di tutti gli scritti di Primo Levi.
Non so se ho risposto alla tua domanda, però queste cose mi premeva dirle.


Domenico Scarpa:

Guarda, hai fatto bene a dirle. È molto bello! Anche perché, questa è una cosa che noi cercheremo di fare come Centro Levi: fare un lessico di Levi, fare una cosiddetta – in termini tecnici – concordanza. Quali parole usa Primo Levi? Quante sono? Dove si trova ciascuna di esse? In quali contesti? Dove sta l’avverbio quasi? Tiriamo fuori, dall’opera di Levi, tutte le frasi, tutti i brani dove c’è l’avverbio quasi. E dove sta la parola fortuna? Facciamo la stessa operazione col sostantivo fortuna, e con tutte le parole notevoli e meno notevoli che Levi ha adoperato nelle tremila pagine delle sue opere complete…
In fondo, già la lezione Primo Levi dell'anno scorso, quella di Robert Gordon, era una lezione sul posto, sulla frequenza, sugli spostamenti di luogo e di significato della parola “fortuna”. Questo lavoro lo faremo, lo faremo, potete star sicuri!
Un'altra cosa che cercheremo di fare è appunto una cronologia della zona grigia. È fondamentale. È fondamentale capire certi concetti del tutto nuovi che hanno avuto e che continuano ad avere una larghissima fortuna – anche filosofica, anche teoretica – in tutto il mondo. Quando sono nati? Come si sono sviluppati? Come hanno preso forma? E come si sono trasformati?
Effettivamente, la chiave bisogna cercarla all'inizio degli anni Settanta; la chiave dev'essere situata fra quel momento in cui Levi legge – nel 1970, probabilmente – un libro come Gli assassini sono tra noi di Simon Wiesenthal, il momento in cui legge Menschen in Auschwitz di Hermann Langbein, nel '72 – come ha detto Massimo – e il momento in cui deve constatare con sconforto che escono film come Il portiere di notte di Liliana Cavani. La prima metà degli anni Settanta di Primo Levi è decisiva per l’elaborazione del concetto di “zona grigia”. E anche questa cronologia andrà fatta.
Ma a questo punto io farei una riflessione diretta sul titolo di questo libro. Voi vedete con quale passione, e insieme con quale pacatezza, si sta esprimendo Massimo Bucciantini. Riflettevo che un titolo come Esperimento Auschwitz è uno di quei titoli che, con una orrenda espressione giornalistica, vengono definiti “frase shock”. Tutto è shock perché non siamo più scioccati da niente, più niente ci colpisce. E invece nel titolo di Massimo non c'è nulla di scioccante perché questa dicitura, questa idea, questa nozione che Auschwitz fosse un esperimento è ricavata direttamente dalle precise parole di Levi. Perché esiste un nesso, un nesso fortissimo fra l’esperienza – l’esperienza vissuta – e l'esperimento ideato da un regime totalitario che era il regime nazista, e patito da milioni di uomini in un luogo preciso della Terra dove questi uomini erano, letteralmente, concentrati. Che nesso c'è fra esperienza ed esperimento, che nesso c'è fra lo shock di una frase come “esperimento Auschwitz” e la auto-definizione che Levi dava di sé, “un uomo normale di buona memoria”?


Massimo Bucciantini:

Levi ha bisogno di colpire l'immaginazione del lettore. E ne ha bisogno perché vuole un lettore partecipe e ‘attivo’, moralmente attivo. Ma per riuscirci, la prima cosa che deve fare è convincere il lettore (che non è stato dove è stato lui) che quel mondo, quell’inferno, è esistito e può tornare a esistere. Lo sappiamo, ed è inutile insisterci, che la sua più grande angoscia è quella di non essere creduto. Tornare e non essere creduto. Bene, ma che cosa fare perché questo non accada? Levi chimico sa che ci sono delle tecniche narrative per convincere il lettore. E trasformare Auschwitz in un esperimento è uno degli aspetti di narrazione che lui tenta di mettere su carta, sia in Se questo è un uomo sia nei Sommersi e i salvati. Ovvero: colpire l'immaginazione del lettore, fornendogli in termini rigorosi la descrizione di un‘nuovo’ mondo, e metterlo così in condizione di partecipare alla realizzazione di un vero e proprio esperimento.
Levi si appella continuamente al lettore, non lo lascia mai solo. Quante volte troviamo nei suoi scritti “immaginate”, “considerate”? Ha bisogno di far vedere ciò che nessuno ha visto; e per questo traduce l'esperienza di Auschwitz in esperimento mentale. E qui ha due grandi maestri: Galileo ed Einstein. Gli ascensori e i gemelli di Einstein da un lato, e dall’altro il “gran naviglio” di Galileo. Ho provato – non so se ci sono riuscito – a vedere che forse sul suo tavolo di lavoro c’era un libro di Galileo - o comunque che lui ricordava un passo importante del Dialogo sopra i due massimi sistemi nel momento in cui scrive appunto il capitolo de I sommersi e i salvati. Quello di cui ha bisogno Levi è di far vedere Auschwitz, e il modo migliore per riuscirci è far lavorare la sua scrittura scientifica. E questo è un elemento che troviamo sia in Se questo è un uomo sia nei Sommersi e i salvati. Levi li chiama esperimenti concettuali. Ecco, se voi prendete il capitolo La zona grigia a un certo punto Levi dice: “Vorrei invitare chiunque osi tentare un giudizio a compiere su se stesso, con sincerità, un esperimento concettuale: immagini, se può, di aver trascorso mesi o anni in un ghetto, tormentato dalla fame cronica, dalla fatica, dalla promiscuità e dall’umiliazione…”. Che cosa avreste fatto voi al mio posto? Prima di giudicare dovete mettervi nei panni di chi ha subito quell'umiliazione e quelle crudeltà.
Ovviamente ciò non significa non dare a Dante quello che è di Dante. Ci mancherebbe! Dico che nella scrittura di Levi c’è un filo scientifico che va ritrovato e messo nella sua giusta luce. E per fare questo occorre vedere come queste due tradizioni – scientifica e letteraria – lavorino e si mescolino insieme per dar vita ad un libro vero e inimitabile come, appunto, è Se questo è un uomo.
Per capire la sbadataggine e la disattenzione che Levi ha incontrato, e non solo in Italia, può servire un piccolo esempio. L’esempio del Times Literary Supplement, tanto per citarvi un settimanale importante. Nel 1995 TLS esce con l’elenco dei 100 libri più importanti, più influenti pubblicati nel mondo dalla seconda guerra mondiale in poi: libri di economia, di politica, di morale, di filosofia, sono esclusi i libri di narrativa. Cento libri fondamentali. Quali e quanti sono i libri italiani? Sono soltanto tre: Gramsci, I quaderni del carcere; e poi Se questo è un uomo I sommersi e i salvati. Dove sta la disattenzione? Ah, naturalmente, nel trafiletto d’introduzione si dice che i libri sono suddivisi per decenni e ciò che conta è l'anno di stampa dell'edizione originale. Dov'è messo Se questo è un uomo? Negli anni Cinquanta, naturalmente! Negli anni Cinquanta, certo. Non negli anni Quaranta, insieme a Orwell, bensì negli anni Cinquanta insieme alla Arendt delle Origini del totalitarismo, insieme a Lévi-Strauss di Tristi tropici, insieme a Charles Percy Snow e il suo saggio sulle due culture.


Domenico Scarpa:

Questa, davvero, è una cosa importantissima. È importantissima la cronologia. Io lo so che i ragazzi appena sentono parlare di date e di luoghi scappano! Pensiamoci un attimo prima di scappare, perché la cronologia è importante, così come è importante una differenza di soli due anni di età fra due di voi. Sono abissi che si scalano! Se sono così importanti due anni di differenza tra una ragazza di sedici anni e un ragazzo di quattordici, pensate quanto sono importanti dieci, dodici anni nella storia della letteratura! Aver saputo elaborare a quel livello, al livello di Primo Levi, una esperienza come quella di Auschwitz nel 1945/46/47, fino a trasformarla in un esperimento; cioè, un'esperienza che ti può uccidere tu invece riesci a pensarla e a restituirla. È un fatto straordinario, a due anni soltanto di distanza dai fatti: nel 1947.
Levi è stato un maestro di pensieri anche perché ha avuto dei maestri di guerra. Che cosa intendo? Intendo che in Se questo è un uomo e ne La tregua ci sono due lezioni morali: una gliela dà un tenente dell'esercito austroungarico, il tenente Steinlauf, che gli insegna che bisogna lavarsi, bisogna spianare i pantaloni sotto il materasso così poi hanno la piega a posto quando te li rimetti. Bisogna fare tutto quello che serve alla propria dignità, anche se dentro un lager sembra inutile: così si muore un po' di meno, così forse si muore più tardi, si muore quasi. Non si muore del tutto: ecco, diciamola così, col quasi!
Mentre Mordo Nahum, il greco, ne La tregua gli insegna che non bisogna avere tante idee intelligenti però bisogna avere un paio di scarpe. Bisogna avere un paio di scarpe perché “guerra è sempre”. Quindi, c'è uno – Steinlauf – che ha fatto la prima guerra mondiale trent'anni prima, e che gli insegna la guerra che è venuta prima, e c’è un altro – il greco – che, dopo la guerra, dopo la seconda guerra, quella che sembra sia finita nel '45, gli dice “guarda che la guerra non è finita!”. E gli dice una frase straordinaria, che Levi, con quel suo senso dell'ironia, la riporta così come gli fu detta, una sprezzante e affettuosa battuta in francese:
“Je n'ai pas encore compris si tu es idiot ou fainéant!” – cioè: “Non ho ancora capito se tu sei scemo o sfaticato!”. Glielo dice il greco, Mordo Nahum, a Primo Levi nel capitolo de La tregua che s’intitola appunto Il greco.
L'impressione è che per studiare Primo Levi bisogna tornare a essere un po' scemi, un po' sfaticati, nel senso del desocupado lector del Don Chisciotte: un lettore sfaccendato, così come lo avrebbe voluto Cervantes. Cioè, uno che toglie di mezzo le idee ricevute e torna a leggere come per la prima volta. Ma forse anche per scrivere Se questo è un uomo bisogna essere sfaticati, cioè togliere di mezzo la filosofia e rimettere in circolo l'esperienza.


Massimo Bucciantini:

Senza dubbio! Ma, visto che ci sono tanti ragazzi, forse vale la pena spostarci un attimo e dire: ma a che serve oggi leggere Primo Levi? Serve soltanto per capire quel passato, oppure ci serve oggi?
Venendo qui a Torino mi è capitato tra le mani l’inserto della “Stampa”. E ho cominciato a sfogliarlo, e dico sfogliarlo e non leggerlo perché ormai gli inserti che vengono dati dai giornali assomigliano sempre più, non so, agli inserti pubblicitari della Coop, fatti di tanti piccoli riquadri dove al posto del prezzo e dell’immagine del prodotto da vendere troviamo quattro righe sul libro da vendere, e dove uno si perde e non legge assolutamente nulla. Ci sono dieci righe, poi altre dieci righe; e uno dice “vabè, insomma, chiudo”! Però nell'ultimo numero di Tuttolibri, che presentava appunto il programma del Salone, c'era una pagina su Levi che forse a molti è sfuggita.


Domenico Scarpa:

Non l'ho vista!


Massimo Bucciantini:

Appunto. Perché il titolo è sul Salone, ha a che vedere genericamente con la lettura e i libri, mentre poi scopri che l’articolo è interamente dedicato a Levi, ed è un bellissimo articolo su di lui, ma soprattutto sui suoi lettori. Il pezzo è di Andrea Bajani e secondo me potrebbe essere una splendida prefazione a un’edizione scolastica di Se questo è un uomo. Bajani ricorda la visita che con una scolaresca fece ad Auschwitz il 27 gennaio del 2009. E in particolare ci racconta di un ragazzo che, dentro ad Auschwitz, cammina tenendo in mano Se questo è un uomo. Ve ne leggo solo tre righe:

“Avrà avuto sedici anni o forse anche di meno. Leggeva Se questo è un uomo perché glielo aveva detto l'insegnante. Ma lo leggeva come forse non ho mai visto leggere un libro. Ci guardava dentro. Io gli vedevo solo il fiato bianco uscirgli di bocca in mezzo al fiato degli altri. Guardava dentro le pagine come se potesse trovarci tutto quello che non c'era in quel niente polacco circondato dal filo spinato. Stava lì quel ragazzo e Se questo è un uomo gli poteva essere utile per capire quante volte ci stava quel libro in tutto quel niente che gli si stendeva davanti fino alle betulle che stavano in fondo”.

Ecco, io credo che un articolo così oggi serva, serva ai ragazzi, tantissimo!

 

Domenico Scarpa:

Sì, io direi che la cosa più bella è lasciarci con l'immagine di quel ragazzo che legge Se questo è un uomo camminando dentro Auschwitz, dentro quel posto dove non c'è più niente perché, per esempio, il lager di Primo Levi – Monowitz – è stato demolito, non c'è più. Resta Auschwitz I, c’è ancora il campo grande che si può visitare oggi. Quindi un ragazzo si porta questo libro, camminando in mezzo a quel maremagno come una bussola, per navigarlo quel mare. E naviga regolandosi sulle stelle: Primo Levi e Galileo. Se questo è un uomo è stato il Sidereus nuncius del ventesimo secolo. Massimo Bucciantini ci ha raccontato questo col suo Esperimento.
Grazie a tutti!


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