Se questo è un uomo a teatro - tournée 2021-22

La versione teatrale di Se questo è un uomo, su testo di Valter Malosti e Domenico Scarpa e proposta dallo stesso Malosti in qualità di regista e di attore, è stata portata fra novembre e dicembre a Modena, Cesena, Cagliari e Bologna: le prime quattro città di un tour che fra gennaio e febbraio dovrebbe toccare anche Ancona, Bari, Lugano, Pisa, Perugia, Ferrara, Correggio, Ravenna, Bolzano, Pistoia e Genova.

Nata nel 2019 in collaborazione con il Centro Primo Levi di Torino la rappresentazione aveva iniziato il suo cammino proprio da Torino toccando subito dopo Milano e Roma; a quel punto si era però dovuta fermare a causa della pandemia.

Nelle repliche realizzate nell’ultimo scorcio del 2021 gli spettatori sono stati più di 8000, fra i quali molti ragazzi. Da aggiungere inoltre che in ogni città studiosi proposti dal Centro hanno contribuito, insieme a Malosti, a momenti di confronto sia a teatro sia nelle scuole.

In tutti i momenti di discussione si è manifestata una grande partecipazione. Era come se il pubblico fosse quasi stupito che di eventi così lontani come Auschwitz, e troppo spesso ridotti a riferimenti astratti e stereotipati, si potesse parlare in modo tanto diretto e vicino alla sensibilità del mondo di oggi.

La naturalezza, la tensione e la ricchezza poetica del racconto di Levi nella interpretazione di Malosti hanno aperto orizzonti in gran parte da scoprire. Soprattutto nel caso delle ragazze e dei ragazzi non sempre informati in modo puntuale sulla realtà dello sterminio e particolarmente sensibili alle potenzialità del teatro.

Quel forte interesse risulta confermato anche dal tenore delle tante questioni che gli studenti hanno sollevato nelle discussioni a scuola. Le domande risuonate negli incontri hanno mostrato una relazione molto più diretta con la realtà esistenziale di chi le poneva, magari filtrata dalle conoscenze acquisite in classe, che non con il dibattito che prevale sui giornali o sugli altri mezzi di comunicazione, compresi i social. Come se i ragazzi, messi di fronte alla realtà concreta raccontata da un grande scrittore, alle scorciatoie banalizzanti e agli stereotipi strumentali spesso ricorrenti nel discorso pubblico preferissero far prevalere una reazione diretta, sincera e la curiosità di chi vuole sapere.

Sarà  interessante verificare ulteriormente una tale impressione. Per questo ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno partecipato e parteciperanno agli incontri previsti nel corso della tournée perché offrano un contributo di informazioni e di idee, utile ad aprire una discussione aperta e ragionata.

La sfida di essere fedeli

di Fabio Levi

La fedeltà al libro di Primo Levi della rappresentazione teatrale di Se questo è un uomo non è semplice conformità al testo originale. La condensazione scenica firmata da Valter Malosti e da Domenico Scarpa mostra un rispetto rigoroso per le parole dello scrittore, per la sequenza del racconto, per le modulazioni del percorso narrativo sul lager e i pensieri sull’essere umano. Ma vuole avere e riesce ad avere i caratteri specifici di un testo teatrale, con un suo ritmo, un’agilità, una tensione in crescendo che prendono il cuore e la mente di ogni spettatore e li restituiscono alla fine più ricchi di prima. Senza contare che il testo è anche una voce: la voce dell’unico attore, che sa trascendere l’io narrativo dello scrittore e farsi supporto di un impianto scenico originale, fatto di spazi, di figure, di oggetti, di luci, di suoni. Quella voce è centrale nella rappresentazione dall’inizio alla fine, senza però mai imporsi a coloro cui è destinata. Allude al contesto aprendo dei varchi alle sofferenze e agli orrori vissuti dai deportati, da tutti i deportati, sofferenze e orrori evocati dalle risonanze acustiche, dalle intonazioni del coro e dai lampi che invadono la scena. Si chiude su se stessa nei momenti di stupore e di riflessione, accompagnandosi ai silenzi, ai toni accorati e ai giochi di luce e di ombra.

Non era facile essere fedeli allo spirito e alle intenzioni di un testimone come Primo Levi, che ha sempre temuto più di ogni altra cosa di non essere creduto e capito, e ha cercato con tutte le sue forze il dialogo con i propri interlocutori. Una sfida questa che pochi avrebbero saputo reggere. La fedeltà doveva farsi risposta sincera alla fiducia accordata dall’autore ai suoi lettori e quindi anche al suo omologo regista e attore di teatro. Doveva saper trasmettere oltre il tempo una realtà che non può essere dimenticata, e gli interrogativi che quel mondo estremo si porta dietro. Di questo Valter Malosti sembra ai miei occhi essersi mostrato capace. Ma sarà ogni singolo spettatore a dare in cuor suo la propria risposta.

Da spettatore

di Domenico Scarpa

Valter Malosti non recita Se questo è un uomo, lo dice. È questa la scoperta che ho fatto tornando a vedere lo spettacolo dopo oltre due anni di distacco da quel testo che pure abbiamo costruito insieme. Dire, e non recitare: forse è il complimento più alto che si possa fare a un interprete, e oggi glielo posso fare come semplice spettatore.

Così come non ci eravamo discostati mai, durante i mesi che abbiamo lavorato insieme, da quella che abbiamo chiamato la «zona Se questo è un uomo», allo stesso modo Malosti è arrivato alla semplicità assoluta, a dare a chi guarda la sensazione dell’azzeramento, della presa diretta, della cosa che sta succedendo di fronte a te ora; e questo non è solo talento, è anche una forma di fedeltà più sottile e profonda a Primo Levi.

In Se questo è un uomo Levi fa proprio questo, ci fa vedere come per la prima volta le cose che racconta, e ci riesce perché nel suo scrivere ha la capacità di mettersi nella stessa situazione di quando, nella realtà del passato, le ha viste e provate per la prima volta. La scrittura viene sempre dopo, a cose finite (finite, ma che continuano a svolgersi nella mente), ma Primo Levi le incontra e le descrive man mano che le vede, raccontandoci il suo percorso di scoperta: all’inizio, Levi non sa mai bene, non sa mai completamente che cosa sono e come sono le cose che vede. Se questo è un uomo è la scoperta del lager, raccontata sotto forma di interrogazione. Forse è per questo che Levi si distingue da altri testimoni: perché non poggia su un terreno sicuro, perché non impone una pedagogia, perché non garantisce una fiducia preliminare a se stesso, e perché si chiede con sincerità se davvero il suo racconto possa rivelarsi utile a qualcuno. Le cose che descrive e racconta sono vere, ma prima delle cose vere c’è la verità delle domande, della ricerca condotta con pazienza. La verità di Se questo è un uomo sta nel fatto che davvero Primo Levi non sa, o non sa ancora, e sta nel fatto che davvero non arriverà mai a sapere completamente il senso dell’esperienza che gli è toccata. Il lettore coglie questo suo atteggiamento di disponibilità, di apertura, di non presunzione, di terreno malfermo.

Valter Malosti, che appare sulla scena prima di profilo, reggendo con la mano destra una grossa valigia, e che poi entra lentamente, frontale, camminando su quel pavimento irregolare composto anch’esso di valigie, ci restituisce innanzitutto il terreno su cui poggia Se questo è un uomo. Diretto, pensoso, attento, complesso: sono qualità dell’onestà intellettuale di Levi che Malosti ha assorbito nella sua interpretazione. Il Levi che scrive è un uomo che nota, che trascrive quello che gli succede: quello che gli arriva, direbbero i francesi. È un bravo traduttore simultaneo ma deve innanzitutto capire i suoni che lo percuotono. La lingua che gli arriva è comunque, in fase di ingresso, una lingua ignota e Malosti ce lo fa sentire benissimo perché lascia sempre un attimo di esitazione prima di introdurre l’assertività, la precisione delle parole che pronuncia. Questa ritmica del pensiero che si fa voce viene aiutata non solo dalla scena, che dà un ritmo ai suoi passi così come al suo rimanere fermo, ma anche dalle luci, dal progetto sonoro, dalle schegge musicali di Carlo Boccadoro, dall’avventarsi o scivolare sopra di lui di queste componenti dello spettacolo.

Malosti ha raggiunto, in questa ripresa di Se questo è un uomo che va in tournée due anni dopo il primo ciclo di rappresentazioni, una scioltezza completa. La sua voce è diventata il testo stesso. Ha abbandonato ogni appoggio, ogni spigolo residuo, disegnando una curva della quale per oltre cento minuti di sua presenza continua in scena lo spettatore segue l’andamento senza il minimo calo di attenzione. Quello che gli spettatori vedono dinanzi a sé è il teatro nella sua espressione più semplice, e che del teatro sta all’origine: un essere umano si presenta di fronte a voi e vi dice la sua avventura. Nei brani che aprono Se questo è un uomo – e che nella «condensazione scenica» sono rimasti là dov’erano –, Primo Levi ci dice chi è e da dove viene, poi comincia a raccontare come se ogni cosa gli stesse capitando in quel preciso momento, ma a intervalli la sua scrittura si stacca dal momento presente e riferisce pensieri, che possono essere pensieri di allora nel lager o pensieri di ora che è ritornato a Torino e si è messo a scrivere. La sua scrittura ci sa anche riportare i sogni, i suoi e quelli dei compagni, e registra il caos delle voci che si accumulano in molte lingue diverse dentro uno stesso spazio. Il Levi dell’avventura di Auschwitz è un uomo carico di cose da raccontare, ed è un uomo dalle molte voci. Nel dire Se questo è un uomo Valter Malosti le ha raccolte tutte quante nella valigia che lo accompagna sulla scena, e ha offerto al suo spettatore l’illusione e la verità di un fatto semplice.


Accedi o registrati per inserire commenti