Il vortice ucraino

di Fabio Levi

Lo sconcerto e l’orrore per la natura e i modi dell’aggressione russa all’Ucraina è, o dovrebbe essere, immediato, senza bisogno di confronti o di rimandi ad altre tragedie del passato. Ma per cogliere il significato e le prospettive di quella che è diventata oramai una vera e propria guerra di lunga durata è necessario collocarla in un contesto più ampio. E nel dibattito in corso gli sforzi in tal senso non mancano di certo. Qui mi limiterò a brevi considerazioni, richiamando alcune idee proposte in vari passaggi dell’opera di Primo Levi.

Inizio da una domanda: il deliberato tentativo di annientare l’indipendenza di Kyiv e la realtà viva di un paese intero, con tutte le conseguenze che possono derivarne, segna forse l’inverarsi dell’incubo che rompe l’incanto della tregua, cui Levi allude nel sogno all’ultima pagina del suo secondo libro: quello dedicato al ritorno a casa da Auschwitz? «Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager».

La tregua per Levi era cominciata il 27 gennaio del ’45; e, oltre la sua storia personale, una tregua ben più ampia aveva coinvolto l’insieme dell’Europa che stava uscendo dalla guerra: era stata un lungo momento di sospensione fra le immense rovine prodotte da cinque anni di distruzioni e le prime gioie di una pace ritrovata, le speranze in un nuovo futuro, ancora impregiudicato, che stava prendendo forma. All’origine di tutto la sconfitta militare del nazismo e dei suoi alleati. Se vogliamo attenerci a quell’immagine, la tregua si era poi protratta in Europa, per oltre quarant’anni, nella forma irrigidita e carica di equivoci della guerra fredda; per proseguire ulteriormente dopo l’89, nell’inquieto realizzarsi - contraddetto però clamorosamente dalle guerre in ex-Jugoslavia - di una speranza quasi impensabile nel periodo precedente: la speranza in un’Europa non più spaccata in due fronti opposti e capace, pur faticosamente, di assumere come bussola i diritti fondamentali di ogni essere umano.

Il 24 febbraio 2022, con l’attacco sferrato dalla Russia all’Ucraina, quell’equilibrio precario, con le sue forti oscillazioni e le sue sbandate, è definitivamente crollato? O la risposta dell’Europa e di altri paesi sentitisi chiamati in causa nei loro principi fondanti sapranno creare un argine in grado di parare il colpo? Tenuto conto oltre tutto che, a distanza di tanti anni, l’orizzonte è mutato e l’Europa ha una collocazione profondamente diversa nel contesto internazionale.

È un fatto in ogni caso che quella data indica un passaggio cruciale: Levi aveva parlato della storia dei Lager come di «un sinistro segnale di pericolo», richiamando con forza chiunque fosse disposto ad ascoltarlo a rimanere in allarme, a saper scoprire nel presente i sintomi più o meno evidenti di una possibile nuova deriva verso esiti estremi. Dal 24 febbraio di quest’anno l’allarme è suonato per tutti. Gli equivoci, le incertezze sono caduti, e anche i veli che parevano giustificare disattenzione e indifferenza. L’”operazione militare speciale” contro l’Ucraina ha mostrato in modo sempre più evidente, anche alla popolazione russa nel nome della quale essa viene condotta, il suo progressivo incrudelimento, la sua natura di guerra contro un popolo intero e in particolare contro i civili, le pulsioni genocidarie che l’attraversano.

L’esito del conflitto in corso non è facile da prevedere anche se sappiamo quanto pesino i rapporti di forza - e non solo quelli - per fermare un avversario avventurista, ma non per questo meno lucido. Nel frattempo è giusto dare l’importanza che merita a ciò che sta accadendo ed essere consapevoli di quanto sia fragile il riparo che sembra per ora proteggerci dalle conseguenze peggiori della guerra.

Per una piccola istituzione come il Centro Primo Levi questo vuole dire non astrarsi dal mondo in cui tutti viviamo. Sarebbe un colpevole controsenso, tenuto conto del lascito di pensiero cui il suo lavoro si ispira e degli ammonimenti che ne derivano. Su cosa questo significhi in concreto ci mettiamo alla prova nel lavoro di ogni giorno, riflettendo su come ci si possa rifare oggi a un testimone e a uno scrittore che ha fatto della dignità umana e dei “vortici” piccoli e grandi di questo mondo il suo interesse centrale.


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